lunedì 1 marzo 2010
giovedì 28 gennaio 2010
mercoledì 19 agosto 2009
NO ALLA TESSERA SEL TIFOSO
Cinque parole: «no alla Tessera del tifoso». È la nuova battaglia che gli ultrà italiani si apprestano a combattere alla ripresa del campionato di calcio; una battaglia dichiaratamente contro il ministro dell'Interno Roberto Maroni, che ha fortemente voluto la Tessera, convinto che sia il modo migliore per arginare la violenza negli stadi.A sentire gli investigatori e gli analisti che da tempo seguono il mondo che gravita attorno alle curve degli stadi, sarà questo uno dei principali «terreni di scontro» per la stagione che si aprirà il 22 agosto. Il perché è presto detto: lo strumento ideato dal Viminale punta a fidelizzare i tifosi con i club, responsabilizzando gli uni e gli altri. Ma soprattutto prevede che le società calcistiche non possano vendere biglietti a chiunque sia stato condannato, anche in via non definitiva, per reati commessi in occasione o a causa di manifestazione sportive.Un provvedimento che colpisce direttamente una larga fetta di ultrà. Di qui la risposta dura, per il momento solo a parole, delle tifoserie organizzate. «La tessera del tifoso è un reale e incombente pericolo - hanno sottolineato nel corso di una riunione a Latina i rappresentanti di una settantina di gruppi ultrà - tra cui quelli di Roma, Lazio, Juventus, Udinese, Milan, Fiorentina, Siena, Reggina, Udinese, Bari - e per questo è necessario batterci per i nostri diritti, per la nostra libertà e per la nostra passione».Come prima mossa i tifosi hanno organizzato una manifestazione a Roma il 5 settembre (il campionato si ferma per la partita della Nazionale) nei pressi dello stadio Olimpico: nella capitale arriveranno da diverse città italiane con l'obiettivo di trovare una linea comune su cui muoversi nel prosieguo del campionato. E si sta studiando l'ipotesi di uno sciopero delle curve. «Dobbiamo restare tutti univocamente fuori dallo stadio - è stato detto a Latina - con un unico striscione, accanto ai nostri fratelli diffidati che, con la Tessera del tifoso, non potranno mai più accedere ad un impianto sportivo».Ma non è soltanto la reazione alla Tessera a preoccupare gli investigatori: secondo le più recenti analisi del Viminale sono ancora 450 i gruppi ultras violenti di cui 234 politicizzati e, tra questi, 61 (nel 2008 erano 58) hanno forti legami con movimenti di estrema destra e 28 sono vicini a formazioni radicali di sinistra. Si tratta dei «soliti noti»: i Bisl (Basta infami solo lame) e Tradizione e distinzione della Roma, i Mastiff del Napoli, la Banda noantri della Lazio, le Brigate autonome livornesi, i Korps della Fiorentina, gli Irriducibili dell'Inter, i Drunks del Catania. Anche in questo campionato dunque, confermano gli analisti, le tifoserie che saranno seguite con maggiore attenzione sono quelle di Roma, Lazio e Napoli, oltre al alcuni gruppi isolati tra gli ultrà di Milan, Inter, Juve e Atalanta. E non è un caso che la prima decisione del Comitato di analisi sulla sicurezza delle manifestazioni sportive del Viminale, sia stata quella di vietare in occasione della prima di campionato la trasferta dei tifosi romanisti a Genova e di quelli bergamaschi a Roma.Restano poi i problemi storici: la «saldatura» tra le tifoserie di Roma e Lazio con i gruppi di estrema destra, la vicinanza di alcuni gruppi ultra del Napoli e del Catania con la criminalità organizzata, l'estremismo razzista di diverse tifoserie del nord, Inter e Verona su tutte. E, ovviamente, la battaglia a tutto campo contro le forze di polizia, da anni ormai i veri nemici di tutti i gruppi organizzati (che ha raggiunto l'apice in occasione dell'omicidio di Gabriele Sandri) tanto che i servizi segreti, nell'ultimo rapporto consegnato al Parlamento, hanno ribadito che la «contiguità» tra «frange di tifo organizzato ed estremismo politicò» è caratterizzata da una «forte avversione nei confronti delle forze dell'ordine» che lascia «ipotizzare, in qualche caso, anche disegni preordinati».
lunedì 18 maggio 2009
L'AGENTE SEGRETO CHE ARRIVAVA DA VERCELLI:OMERO BOZINO
Un tempo a Vercelli, e non solo a Vercelli, Bozino fu un nome famoso. Il personaggio che lo fece diventare tale fu l’avv. Luigi Bozino, uno dei più insigni penalisti italiani, un possente oratore, un vero principe del foro. Patriota, convinto assertore dell’unità d’Italia, in un’orazione per il cinquantenario della proclamazione di Roma a capitale, interpretò l’evento con una frase che divenne subito celebre: “Un grido di entusiasmo convertito in legge!”
Per quarant’anni fu anche presidente della Pro Vercelli. Sotto la sua guida questa società sportiva si sviluppò prodigiosamente in tutte le sue principali attività: ginnastica, scherma (egli stesso era un bravo schermitore) e calcio; in quest'ultima riuscì ad imporsi come la più forte squadra di calcio italiana, vincitrice di ben sette scudetti (1908, 1909, 1911, 1912, 1913 e, dopo la parentesi bellica, ancora nel 1921 e 1922). Bozino, sull’onda dei successi della sua “Pro”, divenne presidente della Federcalcio italiana e vice presidente della Federcalcio mondiale.
A Vercelli Luigi Bozino era stimato, benvoluto e soprattutto popolarissimo. Al contrario suo fratello Paolo, che era pure avvocato, si faceva notare solo perché aveva la bizzarra abitudine di andare tutti i giorni a passeggio a cavallo per la città.
Chi rimase immeritatamente oscurato dalla fama di Luigi Bozino fu suo padre Omero, un agente segreto di Cavour, che ormai più nessuno ricorda, se non qualche raro studioso, specialista nella storia del Risorgimento.
* * *
Discorrere delle missioni segrete di Omero Bozino non è facile, sia perché difettano i documenti, sia perché molti di quelli che ci sono pervenuti sono ben lontani dal farci conoscere il vero; qualcuno anzi è stato scritto proprio per alterarlo. Invano si cercherebbe la verità frugando negli archivi. Il Bozino stesso era riservatissimo, non parlava mai di sé, né delle sue lunghe assenze dalla città, e, ovviamente, meno che meno delle missioni che gli erano state affidate; anzi, all’occorrenza, era pronto a negare la verità o a camuffarla.
L’avv. Luigi Bozino, grande penalista e mitico presidente
della Pro Vercelli. Seguendo l’esempio paterno fu sempre
animato da un vivo patriottismo.
Il personaggio
Omero Bozino apparteneva ad un’agiata famiglia vercellese ed era uomo di legge (aveva un affermato ufficio di causidico). Di vivace intelligenza e di ottima educazione parlava francese, inglese, tedesco, spagnolo e conosceva a fondo i problemi economici e politici del suo tempo; inoltre era anche ben addestrato nelle arti militari.
Sappiamo che ebbe frequenti rapporti con il conte di Cavour, il quale aveva cospicue proprietà terriere nel Vercellese, a Leri; nel 1848 ne sostenne la candidatura nel collegio elettorale di Vercelli contro quella dell’avv. Eugenio Stefano Stara.
Nella guerra del 1849, come ufficiale della Guardia Nazionale, si prodigò per la difesa della sua città e dopo la sconfitta di Novara, alla vigilia del convegno di Vignale, guidò con coraggio e valore uno scontro a fuoco contro gli austriaci sul ponte della Sesia: forse l'ultimo scontro avvenuto in quella sfortunata guerra.
La questione romana
Il 1860 fu un anno di avvenimenti tumultuosi ma decisivi per l'unità italiana. Ricordiamoli: plebisciti in Emilia e Toscana per l'aggregazione al Regno di Sardegna; cessione alla Francia di Nizza e della Savoia in applicazione del trattato di alleanza del gennaio 1859; folgorante e vittoriosa spedizione di Garibaldi nello Stato borbonico; occupazione di gran parte dello Stato pontificio da parte dell'esercito piemontese, fra le proteste dei cattolici di tutto il mondo; nuovi plebisciti nelle regioni già borboniche, nonché in Umbria e nelle Marche. Così, dove fino a pochi mesi prima vi erano sette stati, nacque lo Stato italiano. Non ne facevano parte Venezia, che era rimasta sotto il dominio austriaco, e Roma, che era custodita da una guarnigione francese.
Grande manovratore di questi eventi fu il conte di Cavour, su cui però si stava riversando una quantità enorme di gravi problemi da risolvere con urgenza. Fra gli altri incombeva la delicata questione dei rapporti con la Santa Sede, che egli incominciò ad affrontare con risolutezza già prima che finisse l'anno.
Era evidente che l'unità d'Italia non poteva completarsi se a Roma continuava ad esistere il potere temporale del papa; ma appariva altrettanto evidente che questo problema non poteva essere risolto con la forza, senza creare complicazioni internazionali e senza turbare la coscienza di molti cattolici.
Nel tardo autunno del 1860 il Cavour incaricò ufficiosamente il dr. Diomede Pantaleoni e il teologo padre Carlo Passaglia di avviare con la Santa Sede trattative molto riservate, di cui però venne informato Napoleone III e poi, il 10 gennaio 1861, lo stesso Pio IX dal cardinale Santucci.
Sulle vicende di queste trattative non ci soffermiamo in questa sede; vogliamo invece ricordare che il conte di Cavour, senza informare nessuno e neppure i suoi due emissari, che a Roma già stavano trattando la questione con un gruppo di cardinali, cercò di aprirsi un'altra via, molto più segreta, ma nelle sue speranze molto più risolutiva. Il grande statista piemontese era uomo abile, di molte risorse e privo di scrupoli, quando lo riteneva necessario per conseguire i suoi scopi. Per la circostanza si avvalse di un uomo di cui ben conosceva la fedeltà e le capacità e di cui, forse, si era già servito per altre missioni: Omero Bozino.
Omero Bozino. Disegno tratto da una vecchia fotografia scattata a Parigi (La
Sesia, 1894, n. 131). Forse è l'unico ritratto esistente.
L'agente di Cavour in azione
L'uomo scelto era quello giusto. A Roma viveva l'architetto Giovan Battista Caretti, cognato del Bozino, marito di una sorella di sua moglie, ciò che motivava la presenza del Bozino in quella città, non solo, ma dava all'agente cavouriano la possibilità di meglio conoscere l'ambiente e di acquisire utili notizie. Non sappiamo quando il Bozino si recò la prima volta in missione a Roma per studiare la situazione e riferire. Sicuramente era a Roma nel dicembre 1860.
Il suo compito non era di alta diplomazia, ma quello di corrompere colui che nello Stato Pontificio era ritenuto l'uomo più potente dopo il papa, cioè il segretario di stato cardinale Giacomo Antonelli, e di farne un complice per ottenere dal papa la rinunzia al potere temporale. Sulla figura dell'Antonelli, sulla sua inesauribile sete di denaro e sul suo sfrenato nepotismo il Bozino era riuscito a raccogliere informazioni certe e dettagliate, tanto da poter rassicurare il conte di Cavour che la via della corruzione era percorribile. Il difficile era poter avvicinare con discrezione e riservatezza il segretario di stato.
Già all'inizio del 1861 il Bozino poté stabilire qualche contatto con il cardinale tramite due persone: l'abate Antonio Isaia, segretario del cardinale D'Andrea e l'avv. Salvatore Aguglia, persona di fiducia dell'Antonelli. Nonostante quello che poi scrissero qualche anno dopo l'Isaia e l'Aguglia, è estremamente difficile capire come si siano svolti i fatti. Di sicuro, mediante l'opera di questi due intermediari, ma soprattutto dell'Aguglia, il Bozino poté incontrarsi segretamente con l'Antonelli e concordare con lui questa bozza di accordo: il segretario di stato avrebbe favorito in ogni modo la fine del potere temporale e in cambio avrebbe ottenuto cospicui vantaggi per la sua famiglia, l'oblio delle malversazioni compiute dai suoi congiunti e tre milioni di scudi.
Convinto di aver portato le trattative a buon punto, il Bozino ritornò a Vercelli per poi andare a riferire tutto al conte di Cavour, il quale infatti il 2 febbraio scrisse al suo agente invitandolo a Torino: "L'argomento [...] è d'indole così delicata che meglio a voce che per scritto vuolsi trattare: egli è perciò che io la pregherei a volersi recare nell'entrante settimana a Torino, per venirne meco conferire". Sulla necessità di mantenere il più assoluto riserbo riguardo agli eventuali accordi con l'Antonelli concordavano sia il Cavour sia il Bozino il quale, il 14 febbraio, ancora raccomandava al Cavour: "...che la parte segreta della trattativa debba andare ignorata da chicchessia pel pericolo che il cardinale Antonelli, da cui tanto dipendono le sorti dell'accordo che si tenta, si lasci spaventare dalla menoma ombra di pubblicità compromettente..."
Purtroppo ciò che Bozino temeva si avverò.
Fra spie e tradimenti. Il cardinale si sdegna
Mentre il Bozino era a Vercelli, a Roma capitò qualcosa di poco chiaro e che comunque ci lascia alquanto perplessi. Sicuramente vi fu qualche tradimento. L'abate Isaia, dietro compenso, avrebbe fatto pervenire al Passaglia e al Pantaleoni, i quali stava trattando per conto del Cavour, alcune notizie su quanto stava succedendo alle loro spalle. Il Pantaleoni, turbato e sconcertato, per meglio capire, mise le sue spie alle calcagna dell'avv. Aguglia. Alla fine, geloso e infuriato, manifestò la sua indignazione al conte di Cavour e sicuramente anche ad altri, in pratica (non sappiamo se involontariamente o di proposito) facendo naufragare gli accordi concordati fra il Bozino e l'Antonelli. Il cardinale Antonelli, informato dall'ambasciatore francese Gramont di quanto era trapelato sui suoi accordi segreti (ma chi informò l'ambasciatore?), si dimostrò sorpreso, sdegnato e scandalizzato, poi reagì immediatamente con risolutezza.
Il conte di Cavour per spedire certa sua corrispondenza a Roma usava il rosminiano padre Molinari e questi, alla fine di febbraio, era latore di lettere dirette al Passaglia, al Pantaleoni e all'Isaia. Appena giunse tranquillo ed ignaro in territorio pontificio, a Civitavecchia, il buon padre Molinari si trovò inaspettatamente di fronte al suo superiore, il generale dei Rosminiani padre Bertetti, il quale si fece consegnare tutta la corrispondenza, facendo poi sparire quella diretta all'Isaia. Inutile dire che chi fece muovere il generale dei Rosminiani fu il cardinale Antonelli e che il suo scopo era quello di cercare e togliere di mezzo carteggi per lui compromettenti. Il cardinale poi fece espellere da Roma l'Isaia e denunciò ufficialmente al Pantaleoni il tentativo di corruzione; invece non prese provvedimenti contro l'Aguglia, ovviamente, poiché era un suo fedelissimo ed era stato il tramite diretto fra lui e il Bozino.
Dal canto suo il Bozino, il 9 marzo, scrisse al Cavour, manifestando senza mezzi termini quanto pensava del Pantaleoni: "...reputo debito mio prevenirla che il dottore Pantaleoni è universalmente tenuto a Roma siccome uomo assai avido di denaro, ed è avarissimo. E che pare voce accreditata che il medesimo si trovi al servizio di quella polizia a cui in parecchie circostanze prestò l'opera sua efficace".
Vista la piega degli eventi il Cavour si affrettò a sconfessare il suo agente (che come tutti i bravi agenti segreti non solo accettò la sconfessione, ma la favorì), poi, con una lettera del 23 marzo, tranquillizzò il Pantaleoni spiegandogli che il Bozino "è cognato del Caretti architetto stabilito a Roma da moltissimi anni. Passò con lui le ferie autunnali, e ivi fece conoscenza del segretario del cardinale d'Andrea. Forse per vanità vantò relazioni personali con me che non ebbe mai [...] Ecco la storia del Bozino alla quale non importa più pensare".
Pure noi chiudiamo la vicenda romana del Bozino. Una vicenda ben chiara nelle sue finalità, ma molto oscura su come si svolse. Una testimonianza tarda, ad esempio, narra di una misteriosa aggressione, di cui il Bozino fu fatto segno nel cuore della notte, a Roma, uscendo dal palazzo Antonelli; egli ne poté venire fuori incolume grazie al suo coraggio, "stramazzando a terra uno dei suoi aggressori, l'altro fugando". In quel tempo a Roma intrigavano varie diplomazie ed i loro agenti e le loro spie operavano senza esclusione di colpi. Gli stessi Passaglia e Pantaleoni, emissari ufficiosi del Cavour, erano persone infide.
Se potessimo ricostruire la storia con i se e con i ma, potremmo affermare che se la missione di Omero Bozino fosse riuscita e se il Cavour non fosse morto poche settimane dopo, Roma e il potere temporale dei papi sarebbero caduti senza che dieci anni dopo l'esercito italiano avesse dovuto aprire la breccia di Porta Pia.
Anche dopo la fallita missione romana il Bozino, che non era certo un agente occasionale, continuò a tenersi a disposizione del conte di Cavour. Il 19 aprile gli scrisse di essere pronto "ad eseguire con l'impegno di tutti i miei mezzi quell'incarico di cui Ella si degnasse onorarmi, di qualunque natura esso siasi, e quand'anche per avventura mi esponesse a pericoli". Sappiamo infatti che verso la metà del maggio 1861 il conte di Cavour scrisse al Bozino che in giugno gli avrebbe affidata una missione "che sarebbe stata utile alla causa italiana". Purtroppo con la prematura morte del Cavour, avvenuta il 6 giugno, il Bozino dovette porre fine alla sua attività di agente segreto.
Marzo 2000
N O T A B I O G R A F I C A
Omero Bozino nacque a Vercelli il 31 agosto 1821 ed esercitò la professione legale nella sua città, dove morì il 29 luglio 1894. Ebbe dalla moglie Erminia Tartara due figli: Paolo e Luigi. Con motu proprio di Vittorio Emanuele II venne creato cavaliere della Corona d'Italia. Dopo la morte di Cavour continuò ad interessarsi di problemi economici e finanziari e in alcuni scritti sostenne la necessità di alienare i beni ecclesiastici e demaniali per conseguire il risanamento del bilancio dello Stato. Nel 1865 divenne comandante della legione vercellese della Guardia Nazionale e nel 1880 - 82 sostenne con vigore la necessità di collegare Vercelli a Casale con una linea tranviaria che servisse anche ad unire al capoluogo i paesi della zona (si veda F. Vallia, Progetto di un tramway a vapore fra Vercelli e Casale...,Vercelli 1882). Secondo alcune fonti, non sappiamo quanto attendibili (ad es. il necrologio apparso su La Sesia il 31 luglio 1894 n. 91), prima della sua missione romana sarebbe stato mandato dal Cavour all'estero con incarichi straordinari, forse in Spagna e in Inghilterra. Se ciò sia vero non è facile saperlo, anche perché gli agenti segreti non sempre sono soliti lasciare tracce documentarie.
Di lui restano vari opuscoli, alcuni dei quali ormai rarissimi. Ricordiamo: La finanza del regno d'Italia e la vendita dei beni ecclesiastici, Firenze 1867; La guardia nazionale di Vercelli nelle guerre per l'indipendenza e l'unità d'Italia negli anni 1848-49-59-60. Relazione storica, Vercelli, 1865
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Appendice documentaria
Giulio Cesare Faccio, cui gli avvocati Paolo e Luigi Bozino concessero di vedere alcune carte del loro padre, poté reperire il seguente appunto, che dimostra come Omero Bozino fosse riuscito a venire in possesso di informazioni ben precise sulla moralità del cardinale Antonelli: Appena le armi francesi permisero all'Antonelli di installarsi in Vaticano, sua prima cura fu di costituire una cameretta col cui concorso impossessarsi di tutte le risorse dello Stato. A far parte di tal congrega furono chiamati i suoi fratelli Angelino, Filippo, Luigi, Gregorio, il droghiere Feoli, il marchese Ferrajoli, il banchiere Costa, l'agente di cambio Cortesi e una schiera pressoché infinita di agenti spediti in tutte le provincie dello Stato a incettar vini, grani, olio, lane, pellami oltre i corrispondenti inviati alle piazze più cospicue d'Europa a trafficar le derrate dello Stato raunate a prezzi tenuissimi, lasciando questo nella maggior penuria immaginabile. A incarnare maggiormente il suo concetto pose a capo delle pubbliche amministrazioni i satelliti i più devoti commettendo loro di usufruttuarne a suo conto le rendite colla convenzione di lasciarne loro una parte. Quindi è che si scorse alla testa del Municipio di Roma Luigi Antonelli, fratello dell'Eminenza, alla presidenza della Banca l'altro fratello Filippo, al Monte di Pietà l'avvocato Massani, alle Finanze monsignor Ferrari, alla Regia dei tabacchi il marchese Ferrajoli e tutti in tal guisa corrisposero alle vedute dell'Antonelli che in pochi anni ne formarono uno dei più ricchi proprietari d'Europa. (G. C. Faccio, I tentativi di Cavour per risolvere la questione romana nel 1860-61, in "Nuova Antologia", giugno 1912, pp. 416-417).
* * *
Il Pantaleoni così narrò come venne a conoscere l'esistenza delle trattative condotte dal Bozino, fingendo di credere che fossero un tranello architettato dall'Antonelli, probabilmente per giustificare il suo comportamento, che in effetti mandò a monte quei negoziati: Verso la metà del febbraio o in quel torno il Passaglia mi preveniva altri negoziati da noi ignorati essere stati iniziati da altri incaricatone dal Cavour; e come io ne sfatavo la notizia egli mi chiese balìa di comprarne le prove. Io l'autorizzai a ciò ed è per tal modo che mi vennero in mano le prove e quei documenti quali l'egregio Nicomede Bianchi da altri ebbe e pubblicò [...] Mi bastò dare una lettura superficiale a quelle proposte e carte che il Passaglia aveva da taluno di quegli onesti negoziatori comprate per comprenderne la futilità e quando poi nelle proposte concrete si parla di dare al cardinale Antonelli tre milioni e subornarlo e così anche di riconoscere appalti e contratti della famiglia Antonelli, non potei non sentire che il cardinale intendeva solo a montare una grossolana trappola al Cavour della quale quegli attori si facevano scioccamente intermediari...(D. Pantaleoni, L'idea italiana nella soppressione del potere temporale dei papi, Torino, 1884, p. 81)
* * *
Riguardo alla sua missione romana Omero Bozino cercò sempre di mascherarne gli scopi. Ancora a dieci anni di distanza, nel 1871, scrivendo al senatore Artom affermava: Nel 1862 io scrissi al Direttore dell'Osservatore romano queste linee precise: " Alcuni scritti venuti recentemente alla luce pubblicarono al mio riguardo fatti poco esatti ed anche erronei. In omaggio al vero deggio dichiarare che lungo la mia dimora a Roma nel principio del 1861 non conobbi di persona l'avv. cav. Salvatore Aguglia, non sollecitai né ebbi mai l'onore di essere presentato all'Eminentissimo Antonelli segretario di Stato; che, vissuto ognora straniero alla diplomazia, privati e non pubblici interessi mi conducevano a Roma; ed infine che non tengo in pronto alcuna pubblicazione la quale valer possa a conferma di circostanze da me ignorate". Tutto quanto contiene questa mia nota era verissimo: Avvegnaché la sola missione avuta personalmente dal conte di Cavour era di studiare le condizioni finanziarie di Roma e lo spirito della popolazione e riferire
VOGLIAMO STO SCUDETTO
TORNEO 1909/1910 PRIMO SCUDETTO ASSEGNATO A GIRONI LA FEDERAZIONE PROPONE TRE DATE PER LA FINALE 17/04 , 24/04 O 01/05.LE DUE FINALISTE PRO VERCELLI SCEGLIE IL 01/05 PER MOTIVI MILITARI E RAPPRESENTATIVA COPPA DEL RE. MA L'INTER SECONDA FINALISTA ACCUSA LA PRO VERCELLI DI PERDITA DI TEMPO E SCEGLIE IL 24/04, LA FEDERCALCIO LE DA RAGIONE.
LA PRO VERCELLI SCENDE IN CAMPO CON UNA SQUADRA DI RAGAZZINI 11/15 ANNI A CENTROCAMPO IL CAPITANO DELL'INTER STRINGE LA MANO AL CAPITANO AVVERSARIO SANDRO RAMPINI (11 ANNI) FUTURO CANNONIERE DELLA PRO VERCELLI E CONSEGNA AL CAPITANO MILANESE UNA LAVAGNA CON LA SCRITTA COSI' NON PERDETE IL CONTO DEI GOL CHE CI FARETE. COMUNQUE LA PARTITA FINISCE 10-3.
LA PRO VERCELLI SCENDE IN CAMPO CON UNA SQUADRA DI RAGAZZINI 11/15 ANNI A CENTROCAMPO IL CAPITANO DELL'INTER STRINGE LA MANO AL CAPITANO AVVERSARIO SANDRO RAMPINI (11 ANNI) FUTURO CANNONIERE DELLA PRO VERCELLI E CONSEGNA AL CAPITANO MILANESE UNA LAVAGNA CON LA SCRITTA COSI' NON PERDETE IL CONTO DEI GOL CHE CI FARETE. COMUNQUE LA PARTITA FINISCE 10-3.
lunedì 11 maggio 2009
PRO VERCELLI
Archivio storico
La leggenda La squadra piemontese anticipatrice di teorie e tecniche che all' inizio del Novecento l' hanno resa grande
Arriva l' atleta, cent' anni di calcio moderno
La rivoluzione della Pro Vercelli, la prima a curare e a preparare il fisico Arriva la Juve La festa della Pro Vercelli finisce quando Edoardo Agnelli acquista la Juve e le strappa Rosetta Paragone con Sacchi Per spirito, metodo di lavoro e gioco, le «bianche casacche» sembravano una squadra di Sacchi
Compie più o meno cent' anni adesso una straordinaria storia di calcio, quella della Pro Vercelli che nel 1909 vinse il primo campionato a nove squadre. S' impara all' ingrosso fin da bambini, ma si prende sempre come una stranezza. C' era una volta la squadra di una piccola città che arrivò a vincere fino a sette scudetti e a dare fino a nove giocatori alla nazionale. Una specie di fiaba. Ma la Pro Vercelli è stata molto di più. Ha costruito, anticipato e qualche volta subito tutti i grandi principi del calcio moderno, dall' importanza della preparazione fisica all' inghippo politico; dal gioco all' italiana al mercato. L' avventura comincia nel 1903 quando Marcello Bertinetti, fondatore della Società Ginnastica Pro Vercelli, decide di aprire una sezione anche per il calcio. Il nuovo sport, partito da Genova e dal Friuli, si è ormai allargato in tutta l' Italia del Nord anche se non è ancora popolarissimo. La prima volta che un giornale ne scrive seriamente è quando a Milano ladri sconosciuti rubano i fili che tengono insieme la porta. Il pubblico è poco, ma aumenta ogni anno a ritmi forti. Le prime squadre (Juventus, Genoa, Milan, Andrea Doria) sono piene di stranieri. La Pro Vercelli schiera solo ragazzi nati e residenti a Vercelli. Sono tutti di buone famiglie borghesi, tranne Innocenti, il portiere, che fa il ciabattino. Lo spirito della città cementa la squadra, ma la differenza arriva dalla ginnastica. Nessuno alla Pro Vercelli nasce calciatore. Tutti sono prima di tutto atleti. Hanno un fisico oltre la media, fanno altri sport, si allenano regolarmente, con metodo e anche con fatica. All' inizio del secolo il calcio è ancora un gioco per artisti, si pensa che per gestire un attrezzo servano agilità e grazia, ritmo, non forza. I ragazzi di Vercelli inventano la preparazione fisica, portano nel calcio rigore morale e senso di squadra. Hanno un giuramento comune in cui assicurano «fedeltà, disciplina e obbedienza assoluta» al loro capo. Per almeno dieci anni non li fermerà nessuno. Picchiano e corrono, aggrediscono, fanno vero pressing a tutto campo. Giocano meglio quando si difendono, poi partono in contropiede. Gli avversari dicono che sono macellai, ma scompaiono dal campo negli ultimi venti minuti. Quando la fatica arriva, restano solo «le bianche casacche» dei vercellesi. Per spirito, metodo di lavoro e gioco sembrano una squadra di Arrigo Sacchi. Le grandi città naturalmente non gradiscono. La Federazione si è appena spostata a Milano. Così nel 1910, quando c' è da giocare lo spareggio tra Pro Vercelli e Inter alla fine di aprile, la Federazione rifiuta la richiesta di rinvio dei piemontesi. Hanno tre giocatori impegnati con la nazionale militare, sembra normale rinviare. Ma l' Inter rifiuta e la Federazione le dà ragione. Bozino, leggendario presidente vercellese, si arrabbia, grida all' ingiustizia e schiera la quarta squadra, quella dei ragazzi tra gli undici e i quattordici anni. Finisce 10-3 per l' Inter e con tutta la Pro Vercelli squalificata e multata. Che la Pro Vercelli fosse la squadra più forte lo confermarono i tre scudetti conquistati nelle tre stagioni successive. La leggenda della Pro Vercelli spiega anche l' altra anomalia nel libro d' oro dei campionati, quella dello scudetto al Casale nel 1914. Tra Casale e Vercelli c' è un pugno di chilometri, l' antagonismo è fortissimo. I casalesi vogliono la loro parte di gloria e l' ottengono proprio alla vigilia della guerra. Fanno l' opposto dei vercellesi (maglia nera invece che bianca, stranieri invece che residenti) tranne che sul campo dove picchiano e corrono come i rivali. I due capitani, Milano primo e Barbesino, non si saluteranno mai, nemmeno quando si ritrovano al fronte nella stessa compagnia. La storia cambia quando nel 1923 il figlio di Giovanni Agnelli, Edoardo, acquista la Juventus. Le grandi città sono stanche di questa euforia fisica che le tiene ai margini. Agnelli strappa Rosetta alla Pro Vercelli con un ingaggio di 45 mila lire e uno stipendio di mille (premi compresi). Il Milan si prende invece Gay facendo finta di impiegarlo alla Richard Ginori. È un colpo duro, l' inizio della fine del calcio di provincia. Il professionismo spazza via qualunque regola precedente. Comincia l' epoca del grande calcio metropolitano. Nonostante l' arrivo di Piola, la Pro Vercelli comincia il suo viaggio a ritroso. Il Casale è già scomparso. La Pro Vercelli con i gol di Piola farà in tempo a partecipare ai primi campionati a girone unico alla fine degli anni venti. Ma è l' annuncio di una legge definitiva. Al resto della grande provincia italiana non resteranno che poche stagioni di gloria negli ottant' anni successivi. La storia Sette scudetti, poi il declino Le origini La Società Ginnastica Pro Vercelli nacque nel 1982. Nel 1903 venne istituita anche una sezione per il calcio. Il colore della maglia: bianca Le vittorie Ha vinto sette scudetti. Il primo nel 1908 al debutto nella massima divisione. L' ultimo è datato 1922 La retrocessione Nel 1934-35 la Pro Vercelli retrocede in serie B. Da allora non è mai più riuscita a risalire nella massima serie Il presente È stata rifondata nel 1990 e attualmente gioca in Seconda Divisione (girone A) I protagonisti Pezzi di storia
martedì 28 aprile 2009
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